Il
confronto con la Parola definita “sacra” è spesso un confronto
che trasforma. Praticare l'esegesi significa “tirar fuori” i
significati nascosti del testo.
Lo
scopo è racchiuso in questa domanda personalissima: cosa dice a me
(singolo nella mia concretezza attuale) il testo sacro?
Più
mi confronto con il testo e più mi trasformo.
A
me sta accadendo ciò. Impercettibilmente ma in modo costante.
La
trasformazione a cui mi riferisco non è una trasformazione in senso
religioso. Su quella modalità di cambiamento (conversione) ognuno si
esprime in modo personale. Parlo di una trasformazione psicologica
profonda che tocca il significato del nostro essere nel mondo, essere
con gli altri. “Io” (nella sua difficilissima definizione) e gli
“altri”.
Per
confrontarsi con il testo, con qualche speranza di ottenere una
modificazione interiore in senso psicologico, è necessario
esercitare la sospensione del giudizio, l'epochè nel senso di
Husserl e Sartre.
Mi
allontano da tutti i significati ereditati da altri, letti nei libri,
rifiutando la mediazione di strutture ed istituzioni e mi pongo, il
più liberamente possibile, di fronte al testo sacro, interrogandolo,
per scoprire cosa dice a me singolo, cosa smuove nelle sabbiose
regioni della psiche.
La
parola che trasforma a causa degli echi e degli effetti nascosti che
produce è conosciuta dall'antichità, i Sofisti, arrivando ai giorni
nostri con Freud e Lacan. La Parola terapeutica.
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