venerdì 19 giugno 2015

Riflessione personale sulla Parola: epoché nel significato di Husserl e Sartre tradotto per i non addetti ai lavori.

Il confronto con la Parola definita “sacra” è spesso un confronto che trasforma. Praticare l'esegesi significa “tirar fuori” i significati nascosti del testo.
Lo scopo è racchiuso in questa domanda personalissima: cosa dice a me (singolo nella mia concretezza attuale) il testo sacro?
Più mi confronto con il testo e più mi trasformo.
A me sta accadendo ciò. Impercettibilmente ma in modo costante.
La trasformazione a cui mi riferisco non è una trasformazione in senso religioso. Su quella modalità di cambiamento (conversione) ognuno si esprime in modo personale. Parlo di una trasformazione psicologica profonda che tocca il significato del nostro essere nel mondo, essere con gli altri. “Io” (nella sua difficilissima definizione) e gli “altri”.
Per confrontarsi con il testo, con qualche speranza di ottenere una modificazione interiore in senso psicologico, è necessario esercitare la sospensione del giudizio, l'epochè nel senso di Husserl e Sartre.
Mi allontano da tutti i significati ereditati da altri, letti nei libri, rifiutando la mediazione di strutture ed istituzioni e mi pongo, il più liberamente possibile, di fronte al testo sacro, interrogandolo, per scoprire cosa dice a me singolo, cosa smuove nelle sabbiose regioni della psiche.

La parola che trasforma a causa degli echi e degli effetti nascosti che produce è conosciuta dall'antichità, i Sofisti, arrivando ai giorni nostri con Freud e Lacan. La Parola terapeutica.   




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