giovedì 25 giugno 2015

“E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo …”

Gesù non ha parlato, ha mostrato con un gesto. I depositari della Legge chiedono parole, qualcosa di detto, di esplicito. Alzò il capo, cambiò dimensione, si elevò, alzò lo sguardo. Non guardò più la terra su cui scrisse, senza traccia,  “nomos”. “Adultera” è solo n nome, un’etichetta, priva di realtà se non per la legge scritta, scritta su di un lastricato di un tempo, ma che non incide. Non capivano che non c’era risposta sensata alle loro accuse e solo la loro insistenza portò ad una risposta, a parole che producono realtà.  




martedì 23 giugno 2015

"...chinatosi, si mise a scrivere col dito in terra" (terza parte).

Gesù sapeva scrivere. Nel versetto precedente è chiamato didaskalos (Maestro) e questo era un altro modo per nominare gli Scribi. Si attribuiva il termine (didaskalos) a loro per distinguerli dal popolo illetterato. I Farisei (perushia) erano invece i “separati” dalla gente comune (detta “il popolo della terra”), avevano il massimo rispetto della legge scritta di Mosè ed evitavano gli ignoranti perchè non conoscevano la Legge. Sono questi che chiamano Gesù Maestro. 
Sono questi che chiamano Gesù Maestro riconoscendogli la capacità di leggere e conoscere la Legge scritta di Mosè.
Non solo, Gesù parlava greco oltre che aramaico. Il greco era la lingua di riferimento dell'epoca. In greco parlò con Pilato.

Gesù risponde con un gesto alla prima domanda perché sa che le parole dette o scritte creano, producono realtà. Scrive qualcosa che non resta se non come gesto. Cosa scrisse Gesù? Nomos, legge in greco. Legge terrena, convenzionale, determinata socialmente da chi governa. Legge relegata al qui ed ora. Per l'Io il valore di questa legge, scritta sul lastricato del Tempio, non resta. Qui c'è un Noi che ha condannato un' Io (donna), definendola ed etichettandola come “adultera”. Gesù si schiera con l'Io, non con il Noi.




domenica 21 giugno 2015

"...chinatosi, si mise a scrivere col dito in terra"? (seconda parte)

Se noi pensiamo, in termine di cronaca, abbiamo alcune alternative come quella di Bultmann che vede nei gesti di Gesù un mero abbellimento all'atmosfera di silenzio che si era creata, quindi un dettaglio secondario, narrativo, inserito allo scopo di rendere in modo drammatico la tensione palpabile della scena. Siamo di fronte ad un enigma che non potremo mai risolvere. La nostra interpretazione non può che essere diversa da quella storica e cronachistica.

A Gesù chiedono parole (“Tu che dici?”) e la prima risposta è rappresentata da due azioni ed un segno. Gesù si china verso terra, indica la nostra realtà presente, il qui ed ora. Utilizzando la mano sinistra (la mano di Dio) richiama ad un'altra giustizia, diversa, più alta e con l'indice che rappresenta sia protezione sia accusa, scrive in terra. Ma non scrive nella polvere, perché è nei pressi del tempio che è lastricato. Quindi scrive qualcosa che non resta, qualcosa di invisibile.
Il termine usato per scrivere non è comune, katagraphen, che significa "segnare" o "annotare" qualcosa di specifico. Può essere usato sia per disegnare sia per indicare cose che sono scritte nei testi sacri, nella Bibbia.

Qual è il significato, per noi oggi, dei segni tracciati sul lastricato del tempio? Cosa possono suggerirci?

sabato 20 giugno 2015

“Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra.” (Gv, 8,6): parte prima.

Un gesto che nei secoli è stato interpretato in molti modi. Ad una domanda “Tu cosa dici?” risponde con un gesto.
Ricorda i mudra buddisti cioè una modalità non verbale di comunicazione e di espressione costituita da gesti e posture del dito.
Anticipazione della contemporanea pragmatica della comunicazione: la modalità di comunicazione non verbali è più potenti rispetto alla comunicazione verbale. Il gesto è già una risposta.

Nella lingua ebraica la radice della parola che indica la mano è la stessa della parola conoscenza. La conoscenza è qualcosa di concreto, tangibile, che si può toccare. Simbolicamente, in molte culture, usare la mano desta o la mano sinistra non è la stessa cosa. Nell'ebraismo la mano sinistra è la mano di Dio (indica la giustizia), la mano destra benedice, significa misericordia e rappresenta l'autorità sacerdotale. Anche le diverse dita della mano hanno un significato simbolico diverso. Se supponiamo che Gesù abbia scritto con l'indice possiamo scoprire che questo è il dito della protezione, dell'autorità, dell'accusa. Anche l'azione del chinarsi verso terra ha un significato. Numerose sono le domande a cui si possono dare solo risposte ipotetiche. Perchè risponde con un gesto? Quale mano ha usato? Quale dito? Cosa ha disegnato o scritto? Cosa può dire questo versetto a me, singolo?



venerdì 19 giugno 2015

Riflessione personale sulla Parola: epoché nel significato di Husserl e Sartre tradotto per i non addetti ai lavori.

Il confronto con la Parola definita “sacra” è spesso un confronto che trasforma. Praticare l'esegesi significa “tirar fuori” i significati nascosti del testo.
Lo scopo è racchiuso in questa domanda personalissima: cosa dice a me (singolo nella mia concretezza attuale) il testo sacro?
Più mi confronto con il testo e più mi trasformo.
A me sta accadendo ciò. Impercettibilmente ma in modo costante.
La trasformazione a cui mi riferisco non è una trasformazione in senso religioso. Su quella modalità di cambiamento (conversione) ognuno si esprime in modo personale. Parlo di una trasformazione psicologica profonda che tocca il significato del nostro essere nel mondo, essere con gli altri. “Io” (nella sua difficilissima definizione) e gli “altri”.
Per confrontarsi con il testo, con qualche speranza di ottenere una modificazione interiore in senso psicologico, è necessario esercitare la sospensione del giudizio, l'epochè nel senso di Husserl e Sartre.
Mi allontano da tutti i significati ereditati da altri, letti nei libri, rifiutando la mediazione di strutture ed istituzioni e mi pongo, il più liberamente possibile, di fronte al testo sacro, interrogandolo, per scoprire cosa dice a me singolo, cosa smuove nelle sabbiose regioni della psiche.

La parola che trasforma a causa degli echi e degli effetti nascosti che produce è conosciuta dall'antichità, i Sofisti, arrivando ai giorni nostri con Freud e Lacan. La Parola terapeutica.   




mercoledì 17 giugno 2015

“Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo”


Chiedono a Gesù di esprimersi, di dire qualcosa in merito alla legge, costringerlo a definire verbalmente la sua posizione. Mettere alla prova: accertare ciò che pensa, come intende comportarsi in questo caso.
Due le possibilità: essere in sintonia con la legge degli altri, dell'autorità, del Noi e quindi non insegnare nulla di nuovo oppure non riconoscere la legge, porsi fuori dal Noi, essere altro quindi accusabile, condannabile.

Gesù rappresenta anche l'Io che sempre viene messo alla prova dagli altri, dal Noi che chiede conformità al nomos, alla norma, alla legge stabilita socialmente.
Mettere alla prova l'Io ed accusarlo per la sua non conformità. Il Noi giudica ed accusa l'Io.




“...e, postala nel mezzo, gli dicono: «Maestro, questa donna è stata sorpresa ... Tu che ne dici?».”


...e, postala nel mezzo, 4 gli dicono: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5 Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?».”

Letteralmente “fatta stare in mezzo”. L'adultera è messa al centro della scena, è oggetto della legge ed essa stessa corpo del reato. E sarà questo corpo ad essere oltraggiato, colpito, lacerato.
L'autorità sociale conosce già la pena per il reato, non c'è discussione: ci si appella al principio di autorità, a Mosè. La sanzione è un supplizio pubblico, la lapidazione, a cui partecipa la folla (gli altri, i giudicanti). Espiazione pubblica con diritto di vendetta, infatti gli accusatori partecipano all'esecuzione. La responsabilità è di tutta la comunità perché ciò che è stato commesso è contro le leggi della comunità. I testimoni sono i primi a scagliare le pietre della pena. Tutto è pronto ma si vuole chiedere a chi istruisce fuori dal Tempio, si vuole conoscere la valutazione di questo nuovo Maestro. “Tu che ne dici (lego)?”

Il termine (legô) può essere tradotto anche con insegnare, esortare, consigliare. 
"Tu cosa insegni?” 
 





martedì 16 giugno 2015

“Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio...”


Gli scribi rappresentano rappresentano la tradizione scritta, regolata come i Farisei che richiedevano una rigida osservanza della legge di Mosè sia a livello sociale sia a livello personale. Erano i credenti per eccellenza, i giusti. 

Con loro c'è una donna: la donna è ciò che vi è di più pericoloso per una norma, per una legge sociale, per qualcosa di stabilito. Il perché è chiaro: perché la donna risponde alle leggi del sentimento, dell'intuizione, della percezione interiore. Come Antigone, la donna si oppone al “nomos”, alla legge come regola sociale imposta dall'uomo, imposta dai governanti in opposizione alla natura. La donna è destabilizzante. Come destabilizzante è l'adulterio.

Nel diritto attico la donna è considerata oggetto passivo del reato di adulterio, non attivo. Per il Talmud l'adulterio, oltre ad essere socialmente devastante, era assimilato all'ateismo perché l'adultero, con il suo comportamento volutamente dissimile alla norma, riteneva inconsciamente di non essere visto nemmeno da Dio (“L’occhio dell’adultero aspetta il crepuscolo, pensando: Nessuno mi vedrà” Giob.24:15).
In latino “Ad alterum” significa andare verso l'altro, verso qualcosa o qualcuno che non è nella legge oppure cambiare, adulterarsi, diventare diversi, non essere più come prima, trasformarsi a causa dell'altro.

Questa è una colpa grave: cambiare, non restare imprigionati, inchiodati a ciò che la legge richiede. Il reato è più di una semplice trasgressione sessuale.






Il tempio

Il tempio è spazio sacro, spazio sociale condiviso, luogo pubblico. Nel tempio sono con gli altri, sul monte, elevandomi, sono solo. Gesù torna al tempio ma non condivide lo stesso spazio sacro. Non vi è differenza tra spazio sacro e non sacro. Nel tempio risiede la divinità. Un luogo separato lontano dalla quotidianità. Nello spazio consacrato il sacerdote  è in  piedi di fronte agli altri, è autorità. 
Gesù è seduto.  Istruisce perchè vanno a lui, riconoscono l'unità spirituale che rappresenta. Istruisce ma non in uno spazio delimitato come il tempio. La terra tutta è spazio sacro come le stelle e le sfere celesti. Non c'è separazione tra sacro e profano. Il tempio è un catalizzatore di energia spirituale, Gesù diventa catalizzatore di energia. attira gli altri.





lunedì 15 giugno 2015

"Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. Ma all'alba..."

1 “Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi.”

Possiamo leggere i Vangeli come cronaca oppure come significato da interpretare di cui i fatti narrati alludono ad altro. Sul monte degli Ulivi ci si “alzava”, ci si “elevava”, si andava a meditare e a pregare. Gesù trascorre la notte. La notte rappresenta l'ombra, la parte oscura di noi che Gesù conosceva così bene.

2 “Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava.”

Passata la notte, tornò nel tempio, centro spirituale collettivo, sociale. Dopo aver percorso, attraversato la propria interiorità ritorna agli altri. Fondamentale è il ritrovarsi prima di trovare il prossimo. Quando io sono me stesso (nel testo in greco “autos”), io stesso, attiro il popolo, gli altri, che riconoscono in me, l'autenticità e posso istruire (“didasko”).

Solo quando io sono veramente me stesso posso sensatamente istruire gli altri. E non in piedi in posizione di autorità, ma seduto.  
 

domenica 14 giugno 2015

Giovanni 8,1-11

1 Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. 2 Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava.3 Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, 4 gli dicono: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5 Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». 6 Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra.7 E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei».8 E chinatosi di nuovo, scriveva per terra.9 Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. 10 Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». 11 Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più».



L'adultera in Giovanni 8,1-11

Una delle pericope più emozionati ed intense dei Vangeli è quella dell'adultera in Giovanni 8, 1-11. Al tempo della mia tesi in psicologia sociale su normativa cattolica e comportamento sessuale rappresentò un punto di riflessione significativo.

Pur essendo nel Vangelo di Giovanni, la pericope non compare nei papiri dell’inizio del Terzo Secolo, i più antichi che ci sono stati tramandati. Non è presente nel Codices Sinaiticus Codices Vaticanus, entrambi del IV Secolo. Il primo codice che riporta la Pericope Adulterae è il Codex Bezae Cantabrigensis del V Secolo. Altra singolarità è lo stile in cui è scritta probabilmente attribuile più a Luca che a Giovanni.



Inescusabile...

"Perciò, o uomo, chiunque tu sia che giudichi, sei inescusabile; perché nel giudicare gli altri condanni te stesso; infatti tu che giudichi, fai le stesse cose."

Paolo, Romani 2:1

sabato 13 giugno 2015

"Perdona e vi sarà perdonato.” (parte decima:secondo livello)

Perdona il tuo IO e a voi il futuro perdonerà. Perdonando ti prepari ad un futuro di perdono. Chi sei tu che non vuoi perdonarti?
Ciò che perdonerai a te ed in te perdonerai nell'Altro. Nell'Altro perdoni ciò che è in te, ciò che non vedi, ciò che non vuoi e non puoi perdonare in te. Se riuscirai a perdonare dentro di te, perdonerai quando lo riconoscerai nell'Altro. Perché saprai cos'è.
Ti scagli contro l'Altro perché non sai perdonare in te ciò che vedi nell'Altro. Perdi le tue colpe, perdonati ed apri le ali.

Ma chi è l'Altro in te che puoi e che può perdonarti?


“Non condannare e non sarete condannati...” (parte nona: secondo livello)

Non condannare il tuo IO, non punirlo con disapprovazioni e sanzioni. Non dichiararlo colpevole. Condannandolo lo spingi rientrare in se stesso, a farsi piccolo e timoroso. In questo modo non ti sarà d'aiuto.
Non potrai procedere sulla strada che ti compare davanti.

Non puoi evitare di sbagliare: sbagliare è solo un'altra strada per tornare a te. Solo più lunga.  


venerdì 12 giugno 2015

"Non giudicate e non sarete giudicati..." secondo livello (parte ottava).

Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato» (Luca 6,37).

Quello che abbiamo detto fino ad ora è nel solco della tradizione. 
Vi sono altri aspetti che questi versetti spingono ad esaminare. 
 Il tuo Io non giudichi se stesso. Gli altri che sono in te non giudichino ciò che tu sai di essere. Non sdoppiarti, sii uno. Non trovarti nella situazione in cui una parte del tuo Io (gli altri che sono in te) giudichi ciò che tu sei. Smetti di giudicarti e nessuno ti giudicherà. Non alimentare il senso di colpa in te perché rischia di distruggere ciò che c'è in te di bello e nobile. Tu sei più di più di come ti giudichi quindi non farlo. Non limitarti giudicandoti. Vai oltre. Accetta, migliorati ma non giudicarti.
Non giudicarti perché non puoi farlo fino a quando non smetterai di giudicarti. E quando smetterai non ti servirà più. Tu puoi fare ed essere solo ciò che permetti al tuo IO di fare ed essere. Non seguire il sabotatore che è dentro di te. Se non ti autolimiterai potrai espanderti.





giovedì 11 giugno 2015

“...perdonate e vi sarà perdonato” (parte settima)

La sequenza risulta giudicare-condannare-perdonare. Se hai giudicato, se hai condannato, puoi alla fine perdonare. Un fare rispetto al precedente non fare. Ti perdono quando non ti giudico, quando non ti condanno, quando non ti inchiodo ad una definizione. Perdonarti è non definirti, non limitarti. Lascio a te la possibilità di definirti attraverso le tue azioni. Ciò che posso fare è perdonarti ma non posso trasformarti. Non giudicandoti, non definendoti, ti dono la possibilità di prendere la direzione che vorrai senza pre-giudicare le infinite possibilità che si aprono.
Non giudico la direzione da te presa perché qualunque sia è la tua.

Perdonare è permettere all'altro di trovare la propria via senza dipendere. Ti perdono quando non ti giudico e non ti condanno, perdono quando ti lascio libero di diventare ciò che sei senza che altri ti imprigionino in una gabbia di senso non tua, non scelta da te.



 

"...e non sarete condannati" (parte sesta)

Condannando intrappolo gli altri. Condannando gli altri con un giudizio preparo il mio futuro di condannato a mia volta, lo anticipo. 
Anch'io sarò ridotto ed imprigionato in una definizione. Definizione che mi condiziona e riduce. 
Il mio atto presente di condanna condiziona, modifica, costruisce il mio futuro. Condannando sarò condannato. E la condanna sarà di non essere in grado di liberarmi dalle condanne altrui, dall'essere vincolato da una sentenza emessa da altri e subita da me.




mercoledì 10 giugno 2015

“Non condannate e non sarete condannati” (parte quinta)

Luca 6,37 continua con un altro versetto dopo il “non giudicare”.

Condannare è diverso da giudicare. Il termine greco katadikazo significa dare un giudizio contro qualcuno, dichiarare colpevole. Condannare introduce una sanzione, una disapprovazione. Quando giudico qualcuno, lo condanno ad essere rinchiuso in una gabbia di senso, lo costringo ad essere un qualcosa deciso da me, dal mio giudizio su di lui che diventa condanna (“Sei insopportabile”, “Sei noioso”). Con la mia condanna ti intrappolo in una definizione di te di cui non ti libererai con facilità. Ti condanno a soffrire per liberarti. Ogni giorno condanniamo bambini, adolescenti, donne, malati, amici, coloro che amiamo. Lo stigma di un giudizio porta in sé una condanna futura che può essere superata solo con una trasformazione totale del condannato che risulterà incomprensibile a chi ha pronunciato la condanna.     

martedì 9 giugno 2015

"...e non sarete giudicati" (parte quarta)

Come applico agli altri il mio giudizio, così gli altri giudicheranno me. Dobbiamo notare il futuro. Giudico e poi sarò giudicato: è una conseguenza futura di un'azione presente. Tutte le volte che giudico apro la strada ad un giudizio futuro che piomberà su di me con la stessa forza e ferocia con cui l'ho esercitato. Perchè ciò che giudico con così grande durezza è dentro di me. Giudico negli altri ciò che è nascosto in me ed che non vedo se non attraverso l'altro. Il mio sdegno verso l'altro è la misura, direttamente proporzionale, di ciò che vi è in me.   


Non giudicare...(parte terza)

Giudicare significa esprimersi non su ciò che è ma su che penso che sia reale per me. Scambio la mia opinione (relativa) su ciò che penso sia realtà.  Non giudicare mi prmette di evitare di scivolare nell'equivoco di prendere per realtà la mia deformazione.  Non solo, io penso di giudicare con mie personali categorie ma, in realtà, giudico con le categorie di altri che, inconsapevolmente, ho introiettato in me. Gli altri giudicano attraverso me.

Non giudicate ...primo livello (parte seconda)

Il termine giudicare in greco antico (lingua di riferimento dei Vangeli) è Krino. Il principali significato è esprimere un'opinione o una valutazione specialmente sull'estetica, morale e simili. Ulteriori significati di questo termine sono: giudicare come pronunciare un'opinione riguarda al giusto e lo sbagliato, pronunciare un giudizio, essere giudicato cioè chiamato in tribunale per essere esaminato. 
La radice è KR che in sanscrito significa fare, causare, creare.

Giudicare è un fare, un creare. Creare un gabbia che intrappola l'Altro. Quando giudico, agisco, creo un'etichetta che inchioda l'altro e lo riduce, lo limita come individuo, come essere umano. Riduco l'Altro ad una sola dimensione, ad una sola qualità, ad un solo ruolo.  Ogni volta che penso (non solo dico): "tu sei ..." compio questa azione di riduzione dell'altro ad un solo ed unico aspetto.

Non giudicate e non sarete giudicati ( parte prima)

Una delle più belle espressioni del Vangelo e che rappresenta la radice comune di tutte le psicoterapie degne di queste nome è:

“ Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato” (Luca 6,37).

Nella versione di Matteo (7, 1-2) diventa:

“Non giudicate, per non essere giudicati; [2]perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati”.

Come tutte le espressioni che scopriamo nei testi sacri, ci troviamo di fronte ad un testo stratificato, con diversi livelli di significato, via via sempre più profondi. In che modo questa espressione parla di noi e a noi?

Essenza dell'approccio

Quale potrebbe essere l'essenza di questo approccio?
L'esplorazione del linguaggio simbolico per esplorare zone "non accessibili al ragionamento puramente concettuale" Jung

Filogenesi ed ontogenesi

La Bibbia come processo filogenetico (processo evolutivo di una specie), storia dell'umanità, e processo ontogenetico (processo evolutivo del singolo organismo), sviluppo della coscienza del singolo individuo. In Jung ci sono 185 nomi di personaggi biblici e 230 frasi ed espressioni bibliche. Jung riteneva di poter sostituire il termine Dio con il termine Inconscio (non inteso in senso freudiano). Noi potremmo suggerire di utilizzare il termine IO.

La realtà psicologica di Dio

"Quando parlo di Dio, ne parlo sempre come psicologo. l'immagine di Dio è, per lo psicologo, una realtà psicologica. Sulla realtà metafisica di Dio egli non può affermare nulla." 
Jung, 1906-1945, pg 233-234

Rileggere i testi sacri

"E' necessario leggere la Bibbia altrimenti non capiremo mai la psicologia. La nostra psicologia, tutte le nostre vite, il nostro linguaggio e il nostro corredo d'immagini sono costruiti sulla Bibbia" Jung, 1930-1934, pg 483