Gesù non ha parlato, ha
mostrato con un gesto. I depositari della Legge chiedono parole, qualcosa di
detto, di esplicito. Alzò il capo, cambiò dimensione, si elevò, alzò lo
sguardo. Non guardò più la terra su cui scrisse, senza traccia, “nomos”. “Adultera” è solo n nome, un’etichetta,
priva di realtà se non per la legge scritta, scritta su di un lastricato di un
tempo, ma che non incide. Non capivano che non c’era risposta sensata alle loro
accuse e solo la loro insistenza portò ad una risposta, a parole che producono
realtà.
La rilettura simbolica dei testi sacri (cristiani e non) è un compito immane. Il Vangelo come trattato insuperato di psicoterapia. Ciò che consideriamo il Nuovo Testamento e l'Antico Testamento interpretati come un percorso d'integrazione tra l'Io e il Sè. Le vicende bibliche come racconto della nostra anima.
giovedì 25 giugno 2015
martedì 23 giugno 2015
"...chinatosi, si mise a scrivere col dito in terra" (terza parte).
Gesù sapeva scrivere. Nel versetto precedente è
chiamato didaskalos (Maestro) e questo era un altro modo per nominare gli
Scribi. Si attribuiva il termine (didaskalos) a loro per distinguerli dal
popolo illetterato. I Farisei (perushia) erano invece i “separati” dalla gente
comune (detta “il popolo della terra”), avevano il massimo rispetto della legge
scritta di Mosè ed evitavano gli ignoranti perchè non conoscevano la Legge.
Sono questi che chiamano Gesù Maestro.
Sono questi che chiamano Gesù
Maestro riconoscendogli la capacità di leggere e conoscere la Legge
scritta di Mosè.
Non solo, Gesù parlava greco oltre che aramaico. Il
greco era la lingua di riferimento dell'epoca. In greco parlò con Pilato.
Gesù risponde con un gesto alla prima domanda perché
sa che le parole dette o scritte creano, producono realtà. Scrive qualcosa che
non resta se non come gesto. Cosa scrisse Gesù? Nomos, legge in greco. Legge
terrena, convenzionale, determinata socialmente da chi governa. Legge relegata
al qui ed ora. Per l'Io il valore di questa legge, scritta sul lastricato del
Tempio, non resta. Qui c'è un Noi che ha condannato un' Io (donna), definendola
ed etichettandola come “adultera”. Gesù si schiera con l'Io, non con il Noi.
domenica 21 giugno 2015
"...chinatosi, si mise a scrivere col dito in terra"? (seconda parte)
Se
noi pensiamo, in termine di cronaca, abbiamo alcune alternative come
quella di Bultmann che vede nei gesti di Gesù un mero abbellimento
all'atmosfera di silenzio che si era creata, quindi un dettaglio
secondario, narrativo, inserito allo scopo di rendere in modo
drammatico la tensione palpabile della scena. Siamo di fronte ad un
enigma che non potremo mai risolvere. La nostra interpretazione non
può che essere diversa da quella storica e cronachistica.
A
Gesù chiedono parole (“Tu che dici?”) e la prima risposta è
rappresentata da due azioni ed un segno. Gesù si china verso terra,
indica la nostra realtà presente, il qui ed ora. Utilizzando la mano
sinistra (la mano di Dio) richiama ad un'altra giustizia, diversa,
più alta e con l'indice che rappresenta sia protezione sia accusa,
scrive in terra. Ma non scrive nella polvere, perché è nei pressi
del tempio che è lastricato. Quindi scrive qualcosa che non resta,
qualcosa di invisibile.
Il
termine usato per scrivere non è comune, katagraphen,
che significa "segnare" o "annotare" qualcosa di
specifico. Può essere usato sia per disegnare sia per indicare cose
che sono scritte nei testi sacri, nella Bibbia.
Qual
è il significato, per noi oggi, dei segni tracciati sul lastricato
del tempio? Cosa possono suggerirci?
sabato 20 giugno 2015
“Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra.” (Gv, 8,6): parte prima.
Un
gesto che nei secoli è stato interpretato in molti modi. Ad una
domanda “Tu cosa dici?” risponde con un gesto.
Ricorda
i mudra buddisti cioè
una modalità non verbale di comunicazione e di espressione
costituita
da gesti e posture del dito.
Anticipazione
della contemporanea
pragmatica della comunicazione: la modalità di comunicazione non
verbali è
più potenti rispetto alla comunicazione
verbale. Il gesto è già una risposta.
Nella
lingua ebraica la radice della parola che indica la mano è la stessa
della parola conoscenza. La conoscenza è qualcosa di concreto,
tangibile, che si può toccare. Simbolicamente, in molte culture,
usare la mano desta o la mano sinistra non è la stessa cosa.
Nell'ebraismo la mano sinistra è la mano di Dio (indica la
giustizia), la mano destra benedice, significa misericordia e
rappresenta l'autorità sacerdotale. Anche
le diverse dita della mano hanno un significato simbolico diverso. Se
supponiamo che Gesù abbia scritto con l'indice possiamo scoprire
che questo è il dito della protezione, dell'autorità, dell'accusa.
Anche
l'azione del chinarsi verso terra ha un significato. Numerose sono le
domande a cui si possono dare solo risposte ipotetiche. Perchè
risponde con un gesto? Quale mano ha usato? Quale dito? Cosa ha
disegnato o scritto? Cosa può dire questo versetto a me, singolo?
venerdì 19 giugno 2015
Riflessione personale sulla Parola: epoché nel significato di Husserl e Sartre tradotto per i non addetti ai lavori.
Il
confronto con la Parola definita “sacra” è spesso un confronto
che trasforma. Praticare l'esegesi significa “tirar fuori” i
significati nascosti del testo.
Lo
scopo è racchiuso in questa domanda personalissima: cosa dice a me
(singolo nella mia concretezza attuale) il testo sacro?
Più
mi confronto con il testo e più mi trasformo.
A
me sta accadendo ciò. Impercettibilmente ma in modo costante.
La
trasformazione a cui mi riferisco non è una trasformazione in senso
religioso. Su quella modalità di cambiamento (conversione) ognuno si
esprime in modo personale. Parlo di una trasformazione psicologica
profonda che tocca il significato del nostro essere nel mondo, essere
con gli altri. “Io” (nella sua difficilissima definizione) e gli
“altri”.
Per
confrontarsi con il testo, con qualche speranza di ottenere una
modificazione interiore in senso psicologico, è necessario
esercitare la sospensione del giudizio, l'epochè nel senso di
Husserl e Sartre.
Mi
allontano da tutti i significati ereditati da altri, letti nei libri,
rifiutando la mediazione di strutture ed istituzioni e mi pongo, il
più liberamente possibile, di fronte al testo sacro, interrogandolo,
per scoprire cosa dice a me singolo, cosa smuove nelle sabbiose
regioni della psiche.
La
parola che trasforma a causa degli echi e degli effetti nascosti che
produce è conosciuta dall'antichità, i Sofisti, arrivando ai giorni
nostri con Freud e Lacan. La Parola terapeutica.
mercoledì 17 giugno 2015
“Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo”
Chiedono
a Gesù di esprimersi, di dire qualcosa in merito alla legge,
costringerlo a definire verbalmente la sua posizione. Mettere alla
prova: accertare ciò che pensa, come intende comportarsi in questo
caso.
Due
le possibilità: essere in sintonia con la legge degli altri,
dell'autorità, del Noi e quindi non insegnare nulla di nuovo oppure
non riconoscere la legge, porsi fuori dal Noi, essere altro quindi
accusabile, condannabile.
Gesù
rappresenta anche l'Io che sempre viene messo alla prova dagli altri,
dal Noi che chiede conformità al nomos, alla norma, alla legge
stabilita socialmente.
Mettere
alla prova l'Io ed accusarlo per la sua non conformità. Il Noi
giudica ed accusa l'Io.
“...e, postala nel mezzo, gli dicono: «Maestro, questa donna è stata sorpresa ... Tu che ne dici?».”
“...e,
postala nel mezzo, 4
gli dicono:
«Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5
Ora Mosè, nella
Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne
dici?».”
Letteralmente
“fatta stare in mezzo”. L'adultera è messa al centro della
scena, è oggetto della legge ed essa stessa corpo del reato. E sarà
questo corpo ad essere oltraggiato, colpito, lacerato.
L'autorità
sociale conosce già la pena per il reato, non c'è discussione: ci
si appella al principio di autorità, a Mosè. La sanzione è un
supplizio pubblico, la lapidazione, a cui partecipa la folla (gli
altri, i giudicanti). Espiazione pubblica con diritto di vendetta,
infatti gli accusatori partecipano all'esecuzione. La responsabilità
è di tutta la comunità perché ciò che è stato commesso è contro
le leggi della comunità. I testimoni sono i primi a scagliare le
pietre della pena. Tutto è pronto ma si vuole chiedere a chi
istruisce fuori dal Tempio, si vuole conoscere la valutazione di
questo nuovo Maestro. “Tu che ne dici (lego)?”
Il
termine (legô) può essere tradotto anche con insegnare, esortare, consigliare.
"Tu
cosa insegni?”
martedì 16 giugno 2015
“Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio...”
Gli
scribi rappresentano rappresentano la tradizione scritta, regolata
come i Farisei che richiedevano una rigida osservanza della legge di
Mosè sia a livello sociale sia a livello personale. Erano i credenti
per eccellenza, i giusti.
Con loro c'è una donna: la donna è ciò che vi è di più pericoloso per una norma, per una legge sociale, per qualcosa di stabilito. Il perché è chiaro: perché la donna risponde alle leggi del sentimento, dell'intuizione, della percezione interiore. Come Antigone, la donna si oppone al “nomos”, alla legge come regola sociale imposta dall'uomo, imposta dai governanti in opposizione alla natura. La donna è destabilizzante. Come destabilizzante è l'adulterio.
Nel
diritto attico la donna è considerata oggetto passivo del reato di
adulterio, non attivo. Per
il Talmud l'adulterio, oltre ad essere socialmente devastante, era
assimilato all'ateismo perché l'adultero, con il suo comportamento
volutamente dissimile alla norma, riteneva inconsciamente di non
essere visto nemmeno da Dio (“L’occhio
dell’adultero aspetta il crepuscolo, pensando: Nessuno mi vedrà”
Giob.24:15).
In latino “Ad alterum” significa andare verso l'altro, verso
qualcosa o qualcuno che non è nella legge oppure cambiare,
adulterarsi, diventare diversi, non essere più come prima, trasformarsi a causa dell'altro.
Questa
è una colpa grave: cambiare, non restare imprigionati, inchiodati a
ciò che la legge richiede. Il reato è più di una semplice trasgressione sessuale.
Il tempio
Il
tempio è spazio sacro, spazio sociale condiviso, luogo pubblico. Nel
tempio sono con gli altri, sul monte, elevandomi, sono solo. Gesù
torna al tempio ma non condivide lo stesso spazio sacro. Non vi è
differenza tra spazio sacro e non sacro. Nel tempio risiede la
divinità. Un luogo separato lontano dalla quotidianità. Nello
spazio consacrato il sacerdote è in piedi di fronte agli
altri, è autorità.
Gesù
è seduto. Istruisce perchè vanno a lui, riconoscono l'unità
spirituale che rappresenta. Istruisce ma non in uno spazio delimitato
come il tempio. La terra tutta è spazio sacro come le stelle e le
sfere celesti. Non c'è separazione tra sacro e profano. Il tempio è
un catalizzatore di energia spirituale, Gesù diventa catalizzatore
di energia. attira gli altri.
lunedì 15 giugno 2015
"Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. Ma all'alba..."
1
“Gesù
si avviò allora verso il monte degli Ulivi.”
Possiamo
leggere i Vangeli come cronaca oppure come significato da
interpretare di cui i fatti narrati alludono ad altro. Sul monte
degli Ulivi ci si “alzava”, ci si “elevava”, si andava a
meditare e a pregare. Gesù trascorre la notte. La notte rappresenta
l'ombra, la parte oscura di noi che Gesù conosceva così bene.
2
“Ma
all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui
ed egli, sedutosi, li ammaestrava.”
Passata
la notte, tornò nel tempio, centro spirituale collettivo, sociale.
Dopo aver percorso, attraversato la propria interiorità ritorna agli
altri. Fondamentale è il ritrovarsi prima di trovare il prossimo.
Quando io sono me stesso (nel testo in greco “autos”), io stesso,
attiro
il popolo, gli altri, che riconoscono in me, l'autenticità e posso
istruire (“didasko”).
Solo
quando io sono veramente me stesso posso sensatamente istruire gli
altri. E non in piedi in posizione di autorità, ma seduto.
domenica 14 giugno 2015
Giovanni 8,1-11
1
Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. 2
Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo
andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava.3 Allora
gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio
e, postala nel mezzo, 4 gli dicono: «Maestro,
questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5 Ora
Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu
che ne dici?». 6 Questo dicevano per metterlo alla
prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a
scrivere col dito per terra.7 E siccome insistevano
nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza
peccato, scagli per primo la pietra contro di lei».8 E
chinatosi di nuovo, scriveva per terra.9 Ma quelli,
udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani
fino agli ultimi.
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. 10 Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». 11 Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più».
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. 10 Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». 11 Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più».
L'adultera in Giovanni 8,1-11
Una
delle pericope più emozionati ed intense dei Vangeli è quella
dell'adultera in Giovanni 8, 1-11. Al tempo della mia tesi in
psicologia sociale su normativa cattolica e comportamento sessuale
rappresentò un punto di riflessione significativo.
Pur essendo nel Vangelo di Giovanni, la pericope non compare nei papiri dell’inizio del Terzo Secolo, i più antichi che ci sono stati tramandati. Non è presente nè nel Codices Sinaiticus nè Codices Vaticanus, entrambi del IV Secolo. Il primo codice che riporta la Pericope Adulterae è il Codex Bezae Cantabrigensis del V Secolo. Altra singolarità è lo stile in cui è scritta probabilmente attribuile più a Luca che a Giovanni.
Inescusabile...
"Perciò, o uomo, chiunque tu sia che giudichi, sei inescusabile; perché nel giudicare gli altri condanni te stesso; infatti tu che giudichi, fai le stesse cose."
Paolo, Romani 2:1
sabato 13 giugno 2015
"Perdona e vi sarà perdonato.” (parte decima:secondo livello)
Perdona
il tuo IO e a voi il futuro perdonerà. Perdonando ti prepari ad un
futuro di perdono. Chi sei tu che non vuoi perdonarti?
Ciò
che perdonerai a te ed in te perdonerai nell'Altro. Nell'Altro
perdoni ciò che è in te, ciò che non vedi, ciò che non vuoi e
non puoi perdonare in te. Se riuscirai a perdonare dentro di te,
perdonerai quando lo riconoscerai nell'Altro. Perché saprai cos'è.
Ti
scagli contro l'Altro perché non sai perdonare in te ciò che vedi
nell'Altro. Perdi le tue colpe, perdonati ed apri le ali.
Ma
chi è l'Altro in te che puoi e che può perdonarti?
“Non condannare e non sarete condannati...” (parte nona: secondo livello)
Non
condannare il tuo IO, non punirlo con disapprovazioni e sanzioni. Non
dichiararlo colpevole. Condannandolo lo spingi rientrare in se
stesso, a farsi piccolo e timoroso. In questo modo non ti sarà
d'aiuto.
Non
potrai procedere sulla strada che ti compare davanti.
Non
puoi evitare di sbagliare: sbagliare è solo un'altra strada per
tornare a te. Solo più lunga.
venerdì 12 giugno 2015
"Non giudicate e non sarete giudicati..." secondo livello (parte ottava).
Non
giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete
condannati; perdonate e vi sarà perdonato» (Luca 6,37).
Quello
che abbiamo detto fino ad ora è nel solco della tradizione.
Vi sono
altri aspetti che questi versetti spingono ad esaminare.
Il tuo
Io non giudichi se stesso. Gli altri che sono in te non giudichino
ciò che tu sai di essere. Non sdoppiarti, sii uno. Non trovarti
nella situazione in cui una parte del tuo Io (gli altri che sono in
te) giudichi ciò che tu sei. Smetti di giudicarti e nessuno ti
giudicherà. Non alimentare il senso di colpa in te perché rischia
di distruggere ciò che c'è in te di bello e nobile. Tu sei più di
più di come ti giudichi quindi non farlo. Non limitarti
giudicandoti. Vai oltre. Accetta, migliorati ma non giudicarti.
Non
giudicarti perché non puoi farlo fino a quando non smetterai di
giudicarti. E quando smetterai non ti servirà più. Tu puoi fare ed
essere solo ciò che permetti al tuo IO di fare ed essere. Non
seguire il sabotatore che è dentro di te. Se non ti autolimiterai
potrai espanderti.
giovedì 11 giugno 2015
“...perdonate e vi sarà perdonato” (parte settima)
La
sequenza risulta giudicare-condannare-perdonare. Se hai giudicato, se
hai condannato, puoi alla fine perdonare. Un fare rispetto al
precedente non fare. Ti perdono quando non ti giudico, quando non ti
condanno, quando non ti inchiodo ad una definizione. Perdonarti è
non definirti, non limitarti. Lascio a te la possibilità di
definirti attraverso le tue azioni. Ciò che posso fare è
perdonarti ma non posso trasformarti. Non giudicandoti, non
definendoti, ti dono la possibilità di prendere la direzione che
vorrai senza pre-giudicare le infinite possibilità che si aprono.
Non giudico la
direzione da te presa perché qualunque sia è la tua.
Perdonare
è permettere all'altro di trovare la propria via senza dipendere. Ti
perdono quando non ti giudico e non ti condanno, perdono quando ti
lascio libero di diventare ciò che sei senza che altri ti
imprigionino in una gabbia di senso non tua, non scelta da te.
"...e non sarete condannati" (parte sesta)
Condannando
intrappolo gli altri. Condannando gli altri con un giudizio preparo
il mio futuro di condannato a mia volta, lo anticipo.
Anch'io
sarò ridotto ed imprigionato in una definizione. Definizione
che mi condiziona e riduce.
Il
mio atto presente di condanna condiziona, modifica, costruisce il mio
futuro. Condannando sarò condannato. E la condanna sarà di non
essere in grado di liberarmi dalle condanne altrui, dall'essere
vincolato da una sentenza emessa da altri e subita da me.
mercoledì 10 giugno 2015
“Non condannate e non sarete condannati” (parte quinta)
Luca
6,37 continua con un altro versetto dopo il “non giudicare”.
Condannare
è diverso da giudicare. Il termine greco katadikazo significa dare
un giudizio contro qualcuno, dichiarare colpevole. Condannare
introduce una sanzione, una disapprovazione. Quando giudico qualcuno,
lo condanno ad essere rinchiuso in una gabbia di senso, lo costringo
ad essere un qualcosa deciso da me, dal mio giudizio su di lui che
diventa condanna (“Sei insopportabile”, “Sei noioso”). Con
la mia condanna ti intrappolo in una definizione di te di cui non ti
libererai con facilità. Ti condanno a soffrire per liberarti. Ogni
giorno condanniamo bambini, adolescenti, donne, malati, amici, coloro
che amiamo. Lo stigma di un giudizio porta in sé una condanna
futura che può essere superata solo con una trasformazione totale
del condannato che risulterà incomprensibile a chi ha pronunciato la
condanna.
martedì 9 giugno 2015
"...e non sarete giudicati" (parte quarta)
Come
applico agli altri il mio giudizio, così gli altri giudicheranno me.
Dobbiamo notare il futuro. Giudico e poi sarò giudicato: è una
conseguenza futura di un'azione presente. Tutte le volte che giudico
apro la strada ad un giudizio futuro che piomberà su di me con la
stessa forza e ferocia con cui l'ho esercitato. Perchè ciò che
giudico con così grande durezza è dentro di me. Giudico negli
altri ciò che è nascosto in me ed che non vedo se non attraverso
l'altro. Il mio sdegno verso l'altro è la misura, direttamente
proporzionale, di ciò che vi è in me.
Non giudicare...(parte terza)
Giudicare significa esprimersi non su ciò che è ma su che penso che sia reale per me. Scambio la mia opinione (relativa) su ciò che penso sia realtà. Non giudicare mi prmette di evitare di scivolare nell'equivoco di prendere per realtà la mia deformazione. Non solo, io penso di giudicare con mie personali categorie ma, in realtà, giudico con le categorie di altri che, inconsapevolmente, ho introiettato in me. Gli altri giudicano attraverso me.


Non giudicate ...primo livello (parte seconda)
Il termine giudicare in greco antico (lingua di riferimento dei Vangeli) è Krino. Il principali significato è esprimere un'opinione o una valutazione specialmente sull'estetica, morale e simili. Ulteriori significati di questo termine sono: giudicare come pronunciare un'opinione riguarda al giusto e lo sbagliato, pronunciare un giudizio, essere giudicato cioè chiamato in tribunale per essere esaminato.
La radice è KR che in sanscrito significa fare, causare, creare.
Giudicare è un fare, un creare. Creare un gabbia che intrappola l'Altro. Quando giudico, agisco, creo un'etichetta che inchioda l'altro e lo riduce, lo limita come individuo, come essere umano. Riduco l'Altro ad una sola dimensione, ad una sola qualità, ad un solo ruolo. Ogni volta che penso (non solo dico): "tu sei ..." compio questa azione di riduzione dell'altro ad un solo ed unico aspetto.
Giudicare è un fare, un creare. Creare un gabbia che intrappola l'Altro. Quando giudico, agisco, creo un'etichetta che inchioda l'altro e lo riduce, lo limita come individuo, come essere umano. Riduco l'Altro ad una sola dimensione, ad una sola qualità, ad un solo ruolo. Ogni volta che penso (non solo dico): "tu sei ..." compio questa azione di riduzione dell'altro ad un solo ed unico aspetto.

Non giudicate e non sarete giudicati ( parte prima)
Una delle più belle espressioni del Vangelo e che rappresenta la radice comune di tutte le psicoterapie degne di queste nome è:
“ Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato” (Luca 6,37).
“ Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato” (Luca 6,37).
Nella versione di Matteo (7, 1-2) diventa:
“Non giudicate, per non essere giudicati; [2]perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati”.
Come tutte le espressioni che scopriamo nei testi sacri, ci troviamo di fronte ad un testo stratificato, con diversi livelli di significato, via via sempre più profondi. In che modo questa espressione parla di noi e a noi?

“Non giudicate, per non essere giudicati; [2]perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati”.
Come tutte le espressioni che scopriamo nei testi sacri, ci troviamo di fronte ad un testo stratificato, con diversi livelli di significato, via via sempre più profondi. In che modo questa espressione parla di noi e a noi?

Essenza dell'approccio
Quale potrebbe essere l'essenza di questo approccio?
L'esplorazione del linguaggio simbolico per esplorare zone "non accessibili al ragionamento puramente concettuale" Jung
L'esplorazione del linguaggio simbolico per esplorare zone "non accessibili al ragionamento puramente concettuale" Jung
Filogenesi ed ontogenesi
La Bibbia come processo filogenetico (processo evolutivo di una specie), storia dell'umanità, e processo ontogenetico (processo evolutivo del singolo organismo), sviluppo della coscienza del singolo individuo. In Jung ci sono 185 nomi di personaggi biblici e 230 frasi ed espressioni bibliche. Jung riteneva di poter sostituire il termine Dio con il termine Inconscio (non inteso in senso freudiano). Noi potremmo suggerire di utilizzare il termine IO.
La realtà psicologica di Dio
"Quando parlo di Dio, ne parlo sempre come psicologo. l'immagine di Dio è, per lo psicologo, una realtà psicologica. Sulla realtà metafisica di Dio egli non può affermare nulla."
Jung, 1906-1945, pg 233-234
Jung, 1906-1945, pg 233-234
Rileggere i testi sacri
"E' necessario leggere la Bibbia altrimenti non capiremo mai la psicologia. La nostra psicologia, tutte le nostre vite, il nostro linguaggio e il nostro corredo d'immagini sono costruiti sulla Bibbia" Jung, 1930-1934, pg 483
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