domenica 29 novembre 2015

Operazione Maddalena

Nel 591, Papa Gregorio I Magno (540-604), nel’Omelia XXXIII, tenuta al popolo nella Basilica di San Clemente a Roma, in un domenica d’autunno,fuse Maria Maddalena con altre due donne presenti nei Vangeli canonici: l’anonima peccatrice e Maria di Betania.  Così si espresse Gregorio Magno: “Questa donna, che Luca presenta come peccatrice e che in Giovanni è chiamata Maria, riteniamo sia la donna ricordata con lo stesso nome da Marco e dalla quale afferma che furono cacciata i sette demoni. Che cosa indicano i sette demoni se non lì’insieme dei vizi?”.
In questo modo la figura della Maddalena, nella Chiesa Cattolica, fu messa ai margini. Ricordiamo che la Chiesa Bizantina non fu mai d’accordo con tale fusione. Gregorio stabilì che le letture per il 22 luglio, festa di Santa Maria Maddalena, fossero tratte da Luca 7,36-39.
 Gesù in casa di Simone, il fariseo
(Mt 26:1-13, Gv 12.1-8)(Mt 11:28, Gv 6:37)
Luca 7,36-39
36 Uno dei farisei lo invitò a pranzo; ed egli, entrato in casa del fariseo, si mise a tavola. 37 Ed ecco, una donna che era in quella città, una peccatrice, saputo che egli era a tavola in casa del fariseo, portò un vaso di alabastro pieno di olio profumato; 38 e, stando ai piedi di lui, di dietro, piangendo, cominciò a rigargli di lacrime i piedi; e li asciugava con i suoi capelli; e gli baciava e ribaciava i piedi e li ungeva con l'olio. 39 Il fariseo che lo aveva invitato, veduto ciò, disse fra sé: «Costui, se fosse profeta, saprebbe che donna è questa che lo tocca; perché è una peccatrice».”
Diverse le motivazioni di questa fusione dalla confusa situazione dottrinale e politica, con i Longobardi alla conquista dell’Italia, alla necessità di dare ordine ad un mondo in sfacelo.
Paolo VI, nel 1969, con il Concilio Vaticano II, revocò questa interpretazione, cambiando la lettura del 22 luglio con il Vangelo di Giovanni 20:1-2 e 11-18.
“1 Il primo giorno della settimana, la mattina presto, mentre era ancora buio, Maria Maddalena andò al sepolcro e vide la pietra tolta dal sepolcro. 2 Allora corse verso Simon Pietro e l'altro discepolo che Gesù amava e disse loro: «Hanno tolto il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'abbiano messo». “

“11 Maria, invece, se ne stava fuori vicino al sepolcro a piangere. Mentre piangeva, si chinò a guardare dentro il sepolcro, 12 ed ecco, vide due angeli, vestiti di bianco, seduti uno a capo e l'altro ai piedi, lì dov'era stato il corpo di Gesù. 13 Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?» Ella rispose loro: «Perché hanno tolto il mio Signore e non so dove l'abbiano deposto». 14 Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. 15 Gesù le disse: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» Ella, pensando che fosse l'ortolano, gli disse: «Signore, se tu l'hai portato via, dimmi dove l'hai deposto, e io lo prenderò». 16 Gesù le disse: «Maria!» Ella, voltatasi, gli disse in ebraico: «Rabbunì!» che vuol dire: «Maestro!» 17 Gesù le disse: «Non trattenermi, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli, e di' loro: "Io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro"».18 Maria Maddalena andò ad annunciare ai discepoli che aveva visto il Signore, e che egli le aveva detto queste cose.”

domenica 22 novembre 2015

Discepolo prediletto

Discepolo prediletto
Giovanni 19,25-27 (versione Cei)
"25 Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. 26 Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». 27 Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa."
Nuova Riveduta:
Giovanni 19,25-27
"25 Presso la croce di Gesù stavano sua madre e la sorella di sua madre, Maria di Cleopa, e Maria Maddalena. 26 Gesù dunque, vedendo sua madre e presso di lei il discepolo che egli amava, disse a sua madre: «Donna, ecco tuo figlio!» 27 Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!» E da quel momento, il discepolo la prese in casa sua."
Ci sono quattro donne ai piedi e nessun uomo. Eppure si parla del discepolo prediletto (in greco non c'è il femminile: mathetes) al maschile. Chi è il discepolo prediletto citato?

domenica 27 settembre 2015

Andare oltre: riflessione sui rapporti tra teologia (intesa come psicologia antica) e psicologia del profondo

Partiamo dal presupposto che la teologia (e le varie confessioni religiose attuali e passate) siano una forma di psicologia per ogni singolo uomo fatta dagli antichi per alimentare fonti di cambiamento e trasformazione.

 
La nostra epoca è caratterizzata da una esasperata "psicologizzazione" della realtà. Non solo: questa tendenza si manifesta in una patologizzazione di molti aspetti della vita quotidiana se questi non rientrano nelle abitudini consolidate di una determinata comunità.
Il malessere della società è considerato guaribile attraverso le psicoterapie (in generale delle psicologie al plurale). La tradizionale accusa, politica, fatta alla psicologia di essere al servizio della repressione e dell'adattamento alle strutture sociali così come sono si è rivelata approssimativa e superficiale.
Abbiamo bisogno d'altro? 

Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?» Gv 5, 1-16.

Le confessioni religiose, in un primo momento, hanno considerato le psicoterapie ( e la psicologia) come temibili concorrenti salvo, in seguito, utilizzare i metodi e le tecniche per la predicazione, la gestione e conduzione dei gruppi e il counseling parrocchiale. La "risoluzione" psicoterapeutica e la "conversione" religiosa sono entrambi cambiamenti profondi della psiche.
la considerazione junghiana di Gesù come archetipo e la parallela "disconoscenza" del possibile Gesù storico e la valenza profondamente simbolica dei Vangeli sono aspetti  da integrare per aprire prospettive nuove e feconde.
Ogni cambiamento che avviene in profondità è  sempre una conversione nel linguaggio degli antichi. Il primo snodo è la divergenza tra chi ammette un'apertura verso il trascendente, l'apertura a mondi e a prospettive che oltrepassano il singolo Io e chi rifiuta tale apertura. Inoltre è necessario liberare le molte confessioni religiose da concezioni patologiche del singolo che avvelenano la vita degli individui, allontanandoli da una libera naturalità. 
Per chi si occupa di psicologia del profondo ( e a maggior ragione chi si occupa di psicoterapie) è indispensabile acquisire una conoscenza vasta ed accurata del patrimonio culturale che va dalla storia delle religioni al cristianesimo occidentale alla filosofia.   

Pagina sul Liber Novus ovvero Libro Rosso di Jung

https://www.facebook.com/libernovuslibrorosso

venerdì 25 settembre 2015

sabato 12 settembre 2015

Urlo universale

Anche Gesù subisce il tradimento  in più forme (da Giuda, il cassiere del gruppo a cui avevano dato fiducia; dagli apostoli addormentati;  da Pietro, uomo di fiducia e pietra angolare, il triplice rinnegamento) ed infine dal Padre stesso.  
  Elì Elì lemà sabactàni (Ηλει Ηλει λεμα σαβαχθανει)
“Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» “  Vangelo di Matteo, 27,46.
Questo è l’urlo universale dell’adolescente abbandonato dal padre assente che,  nella nostra contemporaneità ,  al momento  del bisogno manifesta la sua assenza.  E’ la fiducia del figlio sofferente inchiodata dal tradimento del padre. 

“Perché bisogna dire chiaramente che vivere o amare soltanto là dove ci possiamo fidare, dove siamo al sicuro e contenuti, dove non possiamo essere feriti o delusi, dove la parola data è vincolante per sempre significa essere irraggiungibili dal dolore e dunque essere fuori dalla vita vera.  E non importa quale sia il vaso della fiducia: l’analisi, il matrimonio, la chiesa o la legge, qualsiasi forma di rapporto tra gli uomini e, oserei  dire, di rapporto con il divino. Anche qui, parrebbe, la fiducia  originale non è ciò che Dio vuole.” J. Hillman “Puer Aeternus”.

venerdì 11 settembre 2015

Nietzsche e il Vangelo

"In tutta quanta la psicologia del «Vangelo» manca la nozione di colpa e di castigo; come pure quella di ricompensa. Il «peccato», qualsiasi rapporto di distanza tra Dio e l'uomo è eliminato - precisamente questa è la «buona novella». La beatitudine non viene promessa, non è associata a condizioni: essa è la sola realtà - il resto è segno per poter parlare di essa...
La conseguenza di un tale stato si proietta in una nuova pratica di vita; la pratica propriamente evangelica. Non è una «fede» a distinguere il cristiano: il cristiano agisce, si distingue mediante un agire diverso. Nel senso che egli non oppone alcuna resistenza né a parole e neppure nel suo cuore a colui che è malvagio verso di lui [...].
La vita del redentore non è stata nient'altro che questa pratica - anche la sua morte non fu null'altro...
Egli non aveva più bisogno di nessuna formula e di nessun rito per il suo commercio con Dio - e neppure della preghiera. Egli ha chiuso i conti con l'intera dottrina ebraica della penitenza e della conciliazione; egli sa che soltanto con la pratica della vita ci si può sentire «divini»«beati»«evangelici»«figli di Dio»in qualsiasi momento. Non la «penitenza», non la «preghiera per il perdono» sono le vie che conducono a Dio: soltanto la pratica evangelica porta a Dio, essa appunto è «Dio»! [...]
Questo «lieto messaggero» morì come visse, come aveva insegnato - non per redimere gli uomini, ma per indicare come si deve vivere. La pratica della vita è ciò che egli ha lasciato in eredità agli uomini: il suo contegno dinanzi ai giudici, agli sgherri, agli accusatori e a ogni specie di calunnia e di scherno - il suo contegno sulla croce. Egli non resiste, non difende il suo diritto, non fa un passo per allontanare da sé il punto estremo, fa anzi qualcosa di più, lo provoca... E prega, soffre, ama con loro, in coloro che gli fanno del male... Le parole rivolte al ladrone sulla croce racchiudono in sé l'intero Vangelo. «Questi in verità è stato un uomo divino, un 'figlio d'Iddio'! - dice il ladrone. «Se tu lo senti» - risponde il redentore - «tu sei in paradiso, anche tu sei un figlio d'Iddio...». Non difendersi, non sdegnarsi, non attribuire responsabilità... Ma neppure resistere al malvagio - amarlo... [...]
Soltanto noi, noi spiriti divenuti liberi, abbiamo i presupposti per comprendere qualcosa che diciannove secoli hanno frainteso - quell'onestà divenuta istinto e passione che fa guerra alla «santa menzogna» ancor più che ad ogni altra menzogna... Si è stati infinitamente lontani dalla nostra neutralità amorevole e cauta, da quella disciplina dello spirito con cui soltanto è possibile decifrare cose tanto nuove, tanto delicate: in ogni tempo si è voluto, con uno spudorato egoismo, trovare in esse esclusivamente il proprio vantaggio, si è costruita la Chiesa in contrasto col Vangelo... [...] Che l'umanità sia prostrata in ginocchio dinanzi all'opposto di ciò che era l'origine, il senso, il diritto del Vangelo, che essa abbia nel concetto di «Chiesa» consacrato esattamente ciò che la «lieta novella» sente sotto di sé, dietro di sé - sarebbe inutile cercare una forma più grande di ironia della storia mondiale." Nietzsche "L'Anticristo" (1888)

sabato 15 agosto 2015

Lettura psicologica dei testi sacri

Penso che sia giunto il tempo di rileggere i testi sacri in chiave psicologica cioè considerare la sapienza contenuta in questi antichi testi come una forma di psicologia che ha molto da dirci.
Un piccolo esempio per farvi riflettere in questi tempi di vacanze: siete proprio sicuri che il Dio della Bibbia ha cacciato dal Paradiso terrestre in nostri progenitori? E se invece Dio (ciò che intendiamo con questo termine) fosse stato Lui a spingerci fuori da quel luogo incantato , a lasciarci liberi di percorrere la nostra strada, rendendoci autonomi e  svincolati da ogni tutela? E che questo spingerci fuori dalla bolla protettiva del Paradiso fosse l'unico modo per conoscere il bene e il male cioè per diventare esseri umani e non burattini dipendenti da lui?

giovedì 30 luglio 2015

E Gesù le disse: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più».

™gè 

 (egô) il termine utilizzato in senso enfatico. L' IO non ti condanna, nessun Io può condannarti. Riprendendo ciò che ho scritto in una precedente nota sul concetto di peccato: il termine “peccato” è una traduzione dal latino di un termine greco del testo originale di Giovanni.  Il termine greco è((¢nam£rthtoj)  anamartetos che deriva da hamartano ((¡mart£nw) che significa mancare il bersaglio, non trovare il bersaglio cercato. Non centrare il mio scopo. 
Il “non peccare più” può essere inteso come non sbagliare più, trova il tuo bersaglio, il tuo scopo. Il vero scopo della tua esistenza che è solo tuo e non di nessun altro. Non sbagliare più. Cerca la tua via, il tuo scopo, il tuo bersaglio. Il vero adulterio è il tradimento verso se stessi e i propri desideri


domenica 26 luglio 2015

“Ed essa rispose: «Nessuno, Signore».”

Gesù, con le sue due domande, porta la donna a prendere consapevolezza che nessuno può condannarla senza sentirsi in contraddizione. Il nomos (la norma) è fatto esterno, convenzione sociale, costrizione non decisa dal singolo Io ma dal Noi del branco. In me trovo ciò che condanno. Solo se l’Io diventa nessuno (cioè può essere tutti) allora si libera dal Noi.

Il termine greco “kurios” (kÚrioj)  tradotto con Signore significa anche colui a cui una persona o cosa appartiene, su cui ha il potere di decidere, padrone, signore. Gesù ha il potere di decidere, come singolo e non come Noi. La donna riconosce questo potere . La donna dimostra di aver capito. 
Nel Vangelo quasi sempre sono le donne che comprendono subito, attraverso la via dell’intuizione, del sentimento  più che attraverso la via rigida e standardizzata della ragione.  


sabato 25 luglio 2015

“Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?».”

Gesù si alza, fino a quel momento era stato seduto. La collera del branco che voleva la morte dell’adultera si è dissolta. Il Noi si è disintegrato in diversi Io che non hanno potuto condannare nessuno. L’Io di ognuno è rinsavito. L’allucinazione collettiva è svanita. “Dove sono ?” e si rivolge alla donna. Chi ti condannava non è mai esistito perché non c’è condanna per ciò che hai commesso. Sei in grado di trovare qualcuno che sia rimasto per condannarti ? Ognuno di quelli ha visto in sé ciò che non voleva riconoscere: il proprio desiderio negato che voleva sopprimere in te. Nessuno ha il diritto di condannare il desiderio di un altro. Nessun può erigersi a giudice di ciò che non è in grado di riconoscere in sè. Solo riconoscendolo in sè lo può superare.


martedì 14 luglio 2015

Digressione prima della conclusione (ultimi versetti): Gesù e l’universo femminile.

Il mondo antico, come l’ebraismo, era androcentrico.  La donna era considerata inferiore e spesso impura, ingannatrice, furba e pettegola, infida e vanitosa. Non vi era un rapporto psichico tra uomo e donna e con la femminilità. La donna era un “non-prossimo “con la propria specificità e stile di vita. L’uomo non era in grado di comprendere le forme e i modi di manifestazione del femminile, gli risultavano incomprensibili.
I criteri di valutazione maschili, considerati assoluti come la razionalità, l’impegno produttivo e la legalità erano in conflitto con valori specifici femminili come  “la recettività, l’apertura, la disponibilità al contatto, la percezione e la valutazione della realtà sul piano dei sentimenti, la spontaneità, la sensibilità non razionale per la realtà concreta” (Hanna Wolff, psicoterapeuta).  
A questo conflitto l’uomo reagisce spesso in un solo modo: con la collera. Proietta sulla donna la propria incapacità di comprendere un universo diverso dal suo, non accetta la differenza perché non in grado di capire. Vede la donna con i propri modelli e schemi interiori non per ciò che è ma per ciò che crede che sia.

Gesù è “fuori” da questa logica: non è mai in collera con nessuna donna, non le nega valore e non la critica. Gesù si circonda di donne, entra nelle loro case senza nessuna preoccupazione (non era consentito salutare una donna per strada). Gesù è “pieno” di donne: adultere, vedove, nubili. Gesù comprende  e condivide, fa propri, anche i valori e il tutto l’intero universo femminile, non escludendo nulla.

lunedì 13 luglio 2015

“Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo.”

Gesù non ha paura delle donne a differenza dei capi religiosi. Non vuole contenere, imbrigliare la loro differenza. Gesù si circonda di donne. Nei Vangeli, a differenza degli uomini, le donne sono sempre descritte e viste in modo positivo. In lui, come in tutti, c’è una parte femminile che Gesù chiede di non negare. Come in tutte vi è una parte maschile. La parte femminile è al centro di un universo. Con questo universo Gesù si confronta. 


lunedì 6 luglio 2015

“Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.”

Je suis l’Autre. Io vedo nell’altro ciò che è in me. Io proietto sull’altro ciò che ho dentro di me. L’altro è una mia proiezione. Chi sia l’altro non lo so.
Proietto sull’altro. Io sono l’adultera, l’adultera è dentro di me, è parte di me.
E questa rappresentazione dell’adultera, generata in me dal Noi sociale, è da me esteriorizzata. La vedo nell’altro/a, la porto fuori di me. Ne ho paura.
La paura crea in me una rabbia che diventa collera, vendetta. Voglio colpire, lapidare.
Ma se mi accorgo che non c’è nessuna adultera, se non nella mia mente determinata dal Noi, se mi accorgo che l’adultera è dentro di me, dentro ognuno di noi, se rinuncio alla proiezione e all’esteriorizzazione, se ridivento Io e non più rappresentante inconsapevole del Noi allora rinuncerò a colpire e me ne andrò. Andrò come Io, ad uno ad uno, non come Noi. Ritorno ad essere Io.
E chi ha più esperienza e saggezza sarà il primo a rinunciare.  






sabato 4 luglio 2015

“E chinatosi di nuovo, scriveva per terra.”

Gesù riprende a scrivere per terra, torna al suo gesto, torna alla terra come contrario del cielo, cioè l’orizzonte più ampio che prima aveva suggerito.

Dopo le sue parole, dopo la sua affermazione la realtà intorno non è più la stessa. La frase detta in precedenza ha modificato la realtà e Gesù attende le conseguenze della sua rottura, del cambio di livello che ha imposto alla realtà. 

L’Io di Gesù cambia la realtà costruita e determinata dal Noi. Scompone il Noi in Io. Voi tutti, rivolto agli astanti, non siete un Noi ma un’insieme di Io.


giovedì 2 luglio 2015

“…e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei»”

Con questa affermazione precisa il testo crea uno stacco, produce una svolta decisiva dopo l’attesa determinata dal gesto di Gesù. “Peccato” è traduzione dal latino di un termine greco del testo originale di Giovanni.  Il termine greco è (¢nam£rthtoj)  anamartetos che deriva da hamartano (¡mart£nw) che significa mancare il bersaglio, non trovare il bersaglio cercato. Non ho centrato il mio scopo. Questo comporta che non vi è la necessità di una punizione, di una sanzione, di una condanna. Posso riprovare.
Gesù non condanna mai nei Vangeli chi sbaglia, ma mette in discussione, ogni volta, chi ritiene di non sbagliare.
Gesù parlava in ebraico-aramaico ed in ebraico questo termine può essere tradotto con “trauma”.  Chi ha sbagliato è un traumatizzato, è qualcuno che ha subito un trauma di cui si deve liberare. Un trauma è qualcosa che blocca la mia evoluzione, che trattiene la mia espansione. Per superare un trauma è necessario riviverlo, ripeterlo, riconsiderarlo con una piena consapevolezza di ciò che è stato.
Nessuno può dire o anche solo pensare di non aver sbagliato. Nessuno è senza traumi. Quindi nessuno può scagliare la prima pietra.

Gesù disintegra il Noi sociale. Il Noi sociale, convenzionale è costruito sulla Legge scritta. Il Noi sociale ritiene di giudicare, condannare, colpire. Solo se l’Io si sottomette al Noi e agisce, non più come Io, ma come Noi (il branco) allora potrà scagliare la prima pietra ed aprire la porta a tutte le altre.   Ma se l’Io abbandonerà il senso del Noi e si confronterà con se stesso (staccandosi dal branco) allora non scaglierà nulla contro l’altro. Se l’Io riconoscerà se stesso nell’altro solo allora lascerà cadere dalla mano la pietra che doveva colpire. L’adultera  c’est moi.  


giovedì 25 giugno 2015

“E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo …”

Gesù non ha parlato, ha mostrato con un gesto. I depositari della Legge chiedono parole, qualcosa di detto, di esplicito. Alzò il capo, cambiò dimensione, si elevò, alzò lo sguardo. Non guardò più la terra su cui scrisse, senza traccia,  “nomos”. “Adultera” è solo n nome, un’etichetta, priva di realtà se non per la legge scritta, scritta su di un lastricato di un tempo, ma che non incide. Non capivano che non c’era risposta sensata alle loro accuse e solo la loro insistenza portò ad una risposta, a parole che producono realtà.  




martedì 23 giugno 2015

"...chinatosi, si mise a scrivere col dito in terra" (terza parte).

Gesù sapeva scrivere. Nel versetto precedente è chiamato didaskalos (Maestro) e questo era un altro modo per nominare gli Scribi. Si attribuiva il termine (didaskalos) a loro per distinguerli dal popolo illetterato. I Farisei (perushia) erano invece i “separati” dalla gente comune (detta “il popolo della terra”), avevano il massimo rispetto della legge scritta di Mosè ed evitavano gli ignoranti perchè non conoscevano la Legge. Sono questi che chiamano Gesù Maestro. 
Sono questi che chiamano Gesù Maestro riconoscendogli la capacità di leggere e conoscere la Legge scritta di Mosè.
Non solo, Gesù parlava greco oltre che aramaico. Il greco era la lingua di riferimento dell'epoca. In greco parlò con Pilato.

Gesù risponde con un gesto alla prima domanda perché sa che le parole dette o scritte creano, producono realtà. Scrive qualcosa che non resta se non come gesto. Cosa scrisse Gesù? Nomos, legge in greco. Legge terrena, convenzionale, determinata socialmente da chi governa. Legge relegata al qui ed ora. Per l'Io il valore di questa legge, scritta sul lastricato del Tempio, non resta. Qui c'è un Noi che ha condannato un' Io (donna), definendola ed etichettandola come “adultera”. Gesù si schiera con l'Io, non con il Noi.




domenica 21 giugno 2015

"...chinatosi, si mise a scrivere col dito in terra"? (seconda parte)

Se noi pensiamo, in termine di cronaca, abbiamo alcune alternative come quella di Bultmann che vede nei gesti di Gesù un mero abbellimento all'atmosfera di silenzio che si era creata, quindi un dettaglio secondario, narrativo, inserito allo scopo di rendere in modo drammatico la tensione palpabile della scena. Siamo di fronte ad un enigma che non potremo mai risolvere. La nostra interpretazione non può che essere diversa da quella storica e cronachistica.

A Gesù chiedono parole (“Tu che dici?”) e la prima risposta è rappresentata da due azioni ed un segno. Gesù si china verso terra, indica la nostra realtà presente, il qui ed ora. Utilizzando la mano sinistra (la mano di Dio) richiama ad un'altra giustizia, diversa, più alta e con l'indice che rappresenta sia protezione sia accusa, scrive in terra. Ma non scrive nella polvere, perché è nei pressi del tempio che è lastricato. Quindi scrive qualcosa che non resta, qualcosa di invisibile.
Il termine usato per scrivere non è comune, katagraphen, che significa "segnare" o "annotare" qualcosa di specifico. Può essere usato sia per disegnare sia per indicare cose che sono scritte nei testi sacri, nella Bibbia.

Qual è il significato, per noi oggi, dei segni tracciati sul lastricato del tempio? Cosa possono suggerirci?

sabato 20 giugno 2015

“Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra.” (Gv, 8,6): parte prima.

Un gesto che nei secoli è stato interpretato in molti modi. Ad una domanda “Tu cosa dici?” risponde con un gesto.
Ricorda i mudra buddisti cioè una modalità non verbale di comunicazione e di espressione costituita da gesti e posture del dito.
Anticipazione della contemporanea pragmatica della comunicazione: la modalità di comunicazione non verbali è più potenti rispetto alla comunicazione verbale. Il gesto è già una risposta.

Nella lingua ebraica la radice della parola che indica la mano è la stessa della parola conoscenza. La conoscenza è qualcosa di concreto, tangibile, che si può toccare. Simbolicamente, in molte culture, usare la mano desta o la mano sinistra non è la stessa cosa. Nell'ebraismo la mano sinistra è la mano di Dio (indica la giustizia), la mano destra benedice, significa misericordia e rappresenta l'autorità sacerdotale. Anche le diverse dita della mano hanno un significato simbolico diverso. Se supponiamo che Gesù abbia scritto con l'indice possiamo scoprire che questo è il dito della protezione, dell'autorità, dell'accusa. Anche l'azione del chinarsi verso terra ha un significato. Numerose sono le domande a cui si possono dare solo risposte ipotetiche. Perchè risponde con un gesto? Quale mano ha usato? Quale dito? Cosa ha disegnato o scritto? Cosa può dire questo versetto a me, singolo?



venerdì 19 giugno 2015

Riflessione personale sulla Parola: epoché nel significato di Husserl e Sartre tradotto per i non addetti ai lavori.

Il confronto con la Parola definita “sacra” è spesso un confronto che trasforma. Praticare l'esegesi significa “tirar fuori” i significati nascosti del testo.
Lo scopo è racchiuso in questa domanda personalissima: cosa dice a me (singolo nella mia concretezza attuale) il testo sacro?
Più mi confronto con il testo e più mi trasformo.
A me sta accadendo ciò. Impercettibilmente ma in modo costante.
La trasformazione a cui mi riferisco non è una trasformazione in senso religioso. Su quella modalità di cambiamento (conversione) ognuno si esprime in modo personale. Parlo di una trasformazione psicologica profonda che tocca il significato del nostro essere nel mondo, essere con gli altri. “Io” (nella sua difficilissima definizione) e gli “altri”.
Per confrontarsi con il testo, con qualche speranza di ottenere una modificazione interiore in senso psicologico, è necessario esercitare la sospensione del giudizio, l'epochè nel senso di Husserl e Sartre.
Mi allontano da tutti i significati ereditati da altri, letti nei libri, rifiutando la mediazione di strutture ed istituzioni e mi pongo, il più liberamente possibile, di fronte al testo sacro, interrogandolo, per scoprire cosa dice a me singolo, cosa smuove nelle sabbiose regioni della psiche.

La parola che trasforma a causa degli echi e degli effetti nascosti che produce è conosciuta dall'antichità, i Sofisti, arrivando ai giorni nostri con Freud e Lacan. La Parola terapeutica.   




mercoledì 17 giugno 2015

“Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo”


Chiedono a Gesù di esprimersi, di dire qualcosa in merito alla legge, costringerlo a definire verbalmente la sua posizione. Mettere alla prova: accertare ciò che pensa, come intende comportarsi in questo caso.
Due le possibilità: essere in sintonia con la legge degli altri, dell'autorità, del Noi e quindi non insegnare nulla di nuovo oppure non riconoscere la legge, porsi fuori dal Noi, essere altro quindi accusabile, condannabile.

Gesù rappresenta anche l'Io che sempre viene messo alla prova dagli altri, dal Noi che chiede conformità al nomos, alla norma, alla legge stabilita socialmente.
Mettere alla prova l'Io ed accusarlo per la sua non conformità. Il Noi giudica ed accusa l'Io.




“...e, postala nel mezzo, gli dicono: «Maestro, questa donna è stata sorpresa ... Tu che ne dici?».”


...e, postala nel mezzo, 4 gli dicono: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5 Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?».”

Letteralmente “fatta stare in mezzo”. L'adultera è messa al centro della scena, è oggetto della legge ed essa stessa corpo del reato. E sarà questo corpo ad essere oltraggiato, colpito, lacerato.
L'autorità sociale conosce già la pena per il reato, non c'è discussione: ci si appella al principio di autorità, a Mosè. La sanzione è un supplizio pubblico, la lapidazione, a cui partecipa la folla (gli altri, i giudicanti). Espiazione pubblica con diritto di vendetta, infatti gli accusatori partecipano all'esecuzione. La responsabilità è di tutta la comunità perché ciò che è stato commesso è contro le leggi della comunità. I testimoni sono i primi a scagliare le pietre della pena. Tutto è pronto ma si vuole chiedere a chi istruisce fuori dal Tempio, si vuole conoscere la valutazione di questo nuovo Maestro. “Tu che ne dici (lego)?”

Il termine (legô) può essere tradotto anche con insegnare, esortare, consigliare. 
"Tu cosa insegni?” 
 





martedì 16 giugno 2015

“Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio...”


Gli scribi rappresentano rappresentano la tradizione scritta, regolata come i Farisei che richiedevano una rigida osservanza della legge di Mosè sia a livello sociale sia a livello personale. Erano i credenti per eccellenza, i giusti. 

Con loro c'è una donna: la donna è ciò che vi è di più pericoloso per una norma, per una legge sociale, per qualcosa di stabilito. Il perché è chiaro: perché la donna risponde alle leggi del sentimento, dell'intuizione, della percezione interiore. Come Antigone, la donna si oppone al “nomos”, alla legge come regola sociale imposta dall'uomo, imposta dai governanti in opposizione alla natura. La donna è destabilizzante. Come destabilizzante è l'adulterio.

Nel diritto attico la donna è considerata oggetto passivo del reato di adulterio, non attivo. Per il Talmud l'adulterio, oltre ad essere socialmente devastante, era assimilato all'ateismo perché l'adultero, con il suo comportamento volutamente dissimile alla norma, riteneva inconsciamente di non essere visto nemmeno da Dio (“L’occhio dell’adultero aspetta il crepuscolo, pensando: Nessuno mi vedrà” Giob.24:15).
In latino “Ad alterum” significa andare verso l'altro, verso qualcosa o qualcuno che non è nella legge oppure cambiare, adulterarsi, diventare diversi, non essere più come prima, trasformarsi a causa dell'altro.

Questa è una colpa grave: cambiare, non restare imprigionati, inchiodati a ciò che la legge richiede. Il reato è più di una semplice trasgressione sessuale.






Il tempio

Il tempio è spazio sacro, spazio sociale condiviso, luogo pubblico. Nel tempio sono con gli altri, sul monte, elevandomi, sono solo. Gesù torna al tempio ma non condivide lo stesso spazio sacro. Non vi è differenza tra spazio sacro e non sacro. Nel tempio risiede la divinità. Un luogo separato lontano dalla quotidianità. Nello spazio consacrato il sacerdote  è in  piedi di fronte agli altri, è autorità. 
Gesù è seduto.  Istruisce perchè vanno a lui, riconoscono l'unità spirituale che rappresenta. Istruisce ma non in uno spazio delimitato come il tempio. La terra tutta è spazio sacro come le stelle e le sfere celesti. Non c'è separazione tra sacro e profano. Il tempio è un catalizzatore di energia spirituale, Gesù diventa catalizzatore di energia. attira gli altri.





lunedì 15 giugno 2015

"Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. Ma all'alba..."

1 “Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi.”

Possiamo leggere i Vangeli come cronaca oppure come significato da interpretare di cui i fatti narrati alludono ad altro. Sul monte degli Ulivi ci si “alzava”, ci si “elevava”, si andava a meditare e a pregare. Gesù trascorre la notte. La notte rappresenta l'ombra, la parte oscura di noi che Gesù conosceva così bene.

2 “Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava.”

Passata la notte, tornò nel tempio, centro spirituale collettivo, sociale. Dopo aver percorso, attraversato la propria interiorità ritorna agli altri. Fondamentale è il ritrovarsi prima di trovare il prossimo. Quando io sono me stesso (nel testo in greco “autos”), io stesso, attiro il popolo, gli altri, che riconoscono in me, l'autenticità e posso istruire (“didasko”).

Solo quando io sono veramente me stesso posso sensatamente istruire gli altri. E non in piedi in posizione di autorità, ma seduto.  
 

domenica 14 giugno 2015

Giovanni 8,1-11

1 Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. 2 Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava.3 Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, 4 gli dicono: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5 Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». 6 Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra.7 E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei».8 E chinatosi di nuovo, scriveva per terra.9 Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. 10 Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». 11 Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più».



L'adultera in Giovanni 8,1-11

Una delle pericope più emozionati ed intense dei Vangeli è quella dell'adultera in Giovanni 8, 1-11. Al tempo della mia tesi in psicologia sociale su normativa cattolica e comportamento sessuale rappresentò un punto di riflessione significativo.

Pur essendo nel Vangelo di Giovanni, la pericope non compare nei papiri dell’inizio del Terzo Secolo, i più antichi che ci sono stati tramandati. Non è presente nel Codices Sinaiticus Codices Vaticanus, entrambi del IV Secolo. Il primo codice che riporta la Pericope Adulterae è il Codex Bezae Cantabrigensis del V Secolo. Altra singolarità è lo stile in cui è scritta probabilmente attribuile più a Luca che a Giovanni.



Inescusabile...

"Perciò, o uomo, chiunque tu sia che giudichi, sei inescusabile; perché nel giudicare gli altri condanni te stesso; infatti tu che giudichi, fai le stesse cose."

Paolo, Romani 2:1

sabato 13 giugno 2015

"Perdona e vi sarà perdonato.” (parte decima:secondo livello)

Perdona il tuo IO e a voi il futuro perdonerà. Perdonando ti prepari ad un futuro di perdono. Chi sei tu che non vuoi perdonarti?
Ciò che perdonerai a te ed in te perdonerai nell'Altro. Nell'Altro perdoni ciò che è in te, ciò che non vedi, ciò che non vuoi e non puoi perdonare in te. Se riuscirai a perdonare dentro di te, perdonerai quando lo riconoscerai nell'Altro. Perché saprai cos'è.
Ti scagli contro l'Altro perché non sai perdonare in te ciò che vedi nell'Altro. Perdi le tue colpe, perdonati ed apri le ali.

Ma chi è l'Altro in te che puoi e che può perdonarti?


“Non condannare e non sarete condannati...” (parte nona: secondo livello)

Non condannare il tuo IO, non punirlo con disapprovazioni e sanzioni. Non dichiararlo colpevole. Condannandolo lo spingi rientrare in se stesso, a farsi piccolo e timoroso. In questo modo non ti sarà d'aiuto.
Non potrai procedere sulla strada che ti compare davanti.

Non puoi evitare di sbagliare: sbagliare è solo un'altra strada per tornare a te. Solo più lunga.  


venerdì 12 giugno 2015

"Non giudicate e non sarete giudicati..." secondo livello (parte ottava).

Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato» (Luca 6,37).

Quello che abbiamo detto fino ad ora è nel solco della tradizione. 
Vi sono altri aspetti che questi versetti spingono ad esaminare. 
 Il tuo Io non giudichi se stesso. Gli altri che sono in te non giudichino ciò che tu sai di essere. Non sdoppiarti, sii uno. Non trovarti nella situazione in cui una parte del tuo Io (gli altri che sono in te) giudichi ciò che tu sei. Smetti di giudicarti e nessuno ti giudicherà. Non alimentare il senso di colpa in te perché rischia di distruggere ciò che c'è in te di bello e nobile. Tu sei più di più di come ti giudichi quindi non farlo. Non limitarti giudicandoti. Vai oltre. Accetta, migliorati ma non giudicarti.
Non giudicarti perché non puoi farlo fino a quando non smetterai di giudicarti. E quando smetterai non ti servirà più. Tu puoi fare ed essere solo ciò che permetti al tuo IO di fare ed essere. Non seguire il sabotatore che è dentro di te. Se non ti autolimiterai potrai espanderti.