Partiamo dal presupposto che la teologia (e le varie confessioni religiose attuali e passate) siano una forma di psicologia per ogni singolo uomo fatta dagli antichi per alimentare fonti di cambiamento e trasformazione.
La nostra epoca è caratterizzata da una esasperata "psicologizzazione" della realtà. Non solo: questa tendenza si manifesta in una patologizzazione di molti aspetti della vita quotidiana se questi non rientrano nelle abitudini consolidate di una determinata comunità.
Il malessere della società è considerato guaribile attraverso le psicoterapie (in generale delle psicologie al plurale). La tradizionale accusa, politica, fatta alla psicologia di essere al servizio della repressione e dell'adattamento alle strutture sociali così come sono si è rivelata approssimativa e superficiale.
Abbiamo bisogno d'altro?
Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?» Gv 5, 1-16.
Le confessioni religiose, in un primo momento, hanno considerato le psicoterapie ( e la psicologia) come temibili concorrenti salvo, in seguito, utilizzare i metodi e le tecniche per la predicazione, la gestione e conduzione dei gruppi e il counseling parrocchiale. La "risoluzione" psicoterapeutica e la "conversione" religiosa sono entrambi cambiamenti profondi della psiche.
la considerazione junghiana di Gesù come archetipo e la parallela "disconoscenza" del possibile Gesù storico e la valenza profondamente simbolica dei Vangeli sono aspetti da integrare per aprire prospettive nuove e feconde.
Ogni cambiamento che avviene in profondità è sempre una conversione nel linguaggio degli antichi. Il primo snodo è la divergenza tra chi ammette un'apertura verso il trascendente, l'apertura a mondi e a prospettive che oltrepassano il singolo Io e chi rifiuta tale apertura. Inoltre è necessario liberare le molte confessioni religiose da concezioni patologiche del singolo che avvelenano la vita degli individui, allontanandoli da una libera naturalità.
Per chi si occupa di psicologia del profondo ( e a maggior ragione chi si occupa di psicoterapie) è indispensabile acquisire una conoscenza vasta ed accurata del patrimonio culturale che va dalla storia delle religioni al cristianesimo occidentale alla filosofia.
La rilettura simbolica dei testi sacri (cristiani e non) è un compito immane. Il Vangelo come trattato insuperato di psicoterapia. Ciò che consideriamo il Nuovo Testamento e l'Antico Testamento interpretati come un percorso d'integrazione tra l'Io e il Sè. Le vicende bibliche come racconto della nostra anima.
domenica 27 settembre 2015
venerdì 25 settembre 2015
sabato 12 settembre 2015
Urlo universale
Anche Gesù subisce il tradimento in più forme (da Giuda, il cassiere del
gruppo a cui avevano dato fiducia; dagli apostoli addormentati; da Pietro, uomo di fiducia e pietra angolare,
il triplice rinnegamento) ed infine dal Padre stesso.
Elì Elì lemà
sabactàni (Ηλει Ηλει λεμα σαβαχθανει)
“Verso le tre, Gesù
gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio
mio, perché mi hai abbandonato?» “
Vangelo di Matteo, 27,46.
Questo è l’urlo universale dell’adolescente abbandonato dal
padre assente che, nella nostra
contemporaneità , al momento del bisogno manifesta la sua assenza. E’ la fiducia del figlio sofferente
inchiodata dal tradimento del padre.
“Perché bisogna dire chiaramente che vivere o amare soltanto
là dove ci possiamo fidare, dove siamo al sicuro e contenuti, dove non possiamo
essere feriti o delusi, dove la parola data è vincolante per sempre significa
essere irraggiungibili dal dolore e dunque essere fuori dalla vita vera. E non importa quale sia il vaso della
fiducia: l’analisi, il matrimonio, la chiesa o la legge, qualsiasi forma di
rapporto tra gli uomini e, oserei dire,
di rapporto con il divino. Anche qui, parrebbe, la fiducia originale non è ciò che Dio vuole.” J.
Hillman “Puer Aeternus”.
venerdì 11 settembre 2015
Nietzsche e il Vangelo
"In tutta quanta la psicologia del «Vangelo» manca la nozione di colpa e di castigo; come pure quella di ricompensa. Il «peccato», qualsiasi rapporto di distanza tra Dio e l'uomo è eliminato - precisamente questa è la «buona novella». La beatitudine non viene promessa, non è associata a condizioni: essa è la sola realtà - il resto è segno per poter parlare di essa...
La conseguenza di un tale stato si proietta in una nuova pratica di vita; la pratica propriamente evangelica. Non è una «fede» a distinguere il cristiano: il cristiano agisce, si distingue mediante un agire diverso. Nel senso che egli non oppone alcuna resistenza né a parole e neppure nel suo cuore a colui che è malvagio verso di lui [...].
La vita del redentore non è stata nient'altro che questa pratica - anche la sua morte non fu null'altro...
Egli non aveva più bisogno di nessuna formula e di nessun rito per il suo commercio con Dio - e neppure della preghiera. Egli ha chiuso i conti con l'intera dottrina ebraica della penitenza e della conciliazione; egli sa che soltanto con la pratica della vita ci si può sentire «divini», «beati», «evangelici», «figli di Dio»in qualsiasi momento. Non la «penitenza», non la «preghiera per il perdono» sono le vie che conducono a Dio: soltanto la pratica evangelica porta a Dio, essa appunto è «Dio»! [...]
Questo «lieto messaggero» morì come visse, come aveva insegnato - non per redimere gli uomini, ma per indicare come si deve vivere. La pratica della vita è ciò che egli ha lasciato in eredità agli uomini: il suo contegno dinanzi ai giudici, agli sgherri, agli accusatori e a ogni specie di calunnia e di scherno - il suo contegno sulla croce. Egli non resiste, non difende il suo diritto, non fa un passo per allontanare da sé il punto estremo, fa anzi qualcosa di più, lo provoca... E prega, soffre, ama con loro, in coloro che gli fanno del male... Le parole rivolte al ladrone sulla croce racchiudono in sé l'intero Vangelo. «Questi in verità è stato un uomo divino, un 'figlio d'Iddio'! - dice il ladrone. «Se tu lo senti» - risponde il redentore - «tu sei in paradiso, anche tu sei un figlio d'Iddio...». Non difendersi, non sdegnarsi, non attribuire responsabilità... Ma neppure resistere al malvagio - amarlo... [...]
Soltanto noi, noi spiriti divenuti liberi, abbiamo i presupposti per comprendere qualcosa che diciannove secoli hanno frainteso - quell'onestà divenuta istinto e passione che fa guerra alla «santa menzogna» ancor più che ad ogni altra menzogna... Si è stati infinitamente lontani dalla nostra neutralità amorevole e cauta, da quella disciplina dello spirito con cui soltanto è possibile decifrare cose tanto nuove, tanto delicate: in ogni tempo si è voluto, con uno spudorato egoismo, trovare in esse esclusivamente il proprio vantaggio, si è costruita la Chiesa in contrasto col Vangelo... [...] Che l'umanità sia prostrata in ginocchio dinanzi all'opposto di ciò che era l'origine, il senso, il diritto del Vangelo, che essa abbia nel concetto di «Chiesa» consacrato esattamente ciò che la «lieta novella» sente sotto di sé, dietro di sé - sarebbe inutile cercare una forma più grande di ironia della storia mondiale." Nietzsche "L'Anticristo" (1888)
La conseguenza di un tale stato si proietta in una nuova pratica di vita; la pratica propriamente evangelica. Non è una «fede» a distinguere il cristiano: il cristiano agisce, si distingue mediante un agire diverso. Nel senso che egli non oppone alcuna resistenza né a parole e neppure nel suo cuore a colui che è malvagio verso di lui [...].
La vita del redentore non è stata nient'altro che questa pratica - anche la sua morte non fu null'altro...
Egli non aveva più bisogno di nessuna formula e di nessun rito per il suo commercio con Dio - e neppure della preghiera. Egli ha chiuso i conti con l'intera dottrina ebraica della penitenza e della conciliazione; egli sa che soltanto con la pratica della vita ci si può sentire «divini», «beati», «evangelici», «figli di Dio»in qualsiasi momento. Non la «penitenza», non la «preghiera per il perdono» sono le vie che conducono a Dio: soltanto la pratica evangelica porta a Dio, essa appunto è «Dio»! [...]
Questo «lieto messaggero» morì come visse, come aveva insegnato - non per redimere gli uomini, ma per indicare come si deve vivere. La pratica della vita è ciò che egli ha lasciato in eredità agli uomini: il suo contegno dinanzi ai giudici, agli sgherri, agli accusatori e a ogni specie di calunnia e di scherno - il suo contegno sulla croce. Egli non resiste, non difende il suo diritto, non fa un passo per allontanare da sé il punto estremo, fa anzi qualcosa di più, lo provoca... E prega, soffre, ama con loro, in coloro che gli fanno del male... Le parole rivolte al ladrone sulla croce racchiudono in sé l'intero Vangelo. «Questi in verità è stato un uomo divino, un 'figlio d'Iddio'! - dice il ladrone. «Se tu lo senti» - risponde il redentore - «tu sei in paradiso, anche tu sei un figlio d'Iddio...». Non difendersi, non sdegnarsi, non attribuire responsabilità... Ma neppure resistere al malvagio - amarlo... [...]
Soltanto noi, noi spiriti divenuti liberi, abbiamo i presupposti per comprendere qualcosa che diciannove secoli hanno frainteso - quell'onestà divenuta istinto e passione che fa guerra alla «santa menzogna» ancor più che ad ogni altra menzogna... Si è stati infinitamente lontani dalla nostra neutralità amorevole e cauta, da quella disciplina dello spirito con cui soltanto è possibile decifrare cose tanto nuove, tanto delicate: in ogni tempo si è voluto, con uno spudorato egoismo, trovare in esse esclusivamente il proprio vantaggio, si è costruita la Chiesa in contrasto col Vangelo... [...] Che l'umanità sia prostrata in ginocchio dinanzi all'opposto di ciò che era l'origine, il senso, il diritto del Vangelo, che essa abbia nel concetto di «Chiesa» consacrato esattamente ciò che la «lieta novella» sente sotto di sé, dietro di sé - sarebbe inutile cercare una forma più grande di ironia della storia mondiale." Nietzsche "L'Anticristo" (1888)
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