Il mondo antico, come l’ebraismo, era androcentrico. La donna era considerata inferiore e spesso
impura, ingannatrice, furba e pettegola, infida e vanitosa. Non vi era un
rapporto psichico tra uomo e donna e con la femminilità. La donna era un “non-prossimo
“con la propria specificità e stile di vita. L’uomo non era in grado di comprendere
le forme e i modi di manifestazione del femminile, gli risultavano incomprensibili.
I criteri di valutazione maschili, considerati assoluti come
la razionalità, l’impegno produttivo e la legalità erano in conflitto con
valori specifici femminili come “la recettività,
l’apertura, la disponibilità al contatto, la percezione e la valutazione della
realtà sul piano dei sentimenti, la spontaneità, la sensibilità non razionale per
la realtà concreta” (Hanna Wolff, psicoterapeuta).
A questo conflitto l’uomo reagisce spesso in un solo modo:
con la collera. Proietta sulla donna la propria incapacità di comprendere un
universo diverso dal suo, non accetta la differenza perché non in grado di capire.
Vede la donna con i propri modelli e schemi interiori non per ciò che è ma per
ciò che crede che sia.
Gesù è “fuori” da questa logica: non è mai in collera con
nessuna donna, non le nega valore e non la critica. Gesù si circonda di donne,
entra nelle loro case senza nessuna preoccupazione (non era consentito salutare
una donna per strada). Gesù è “pieno” di donne: adultere, vedove, nubili. Gesù
comprende e condivide, fa propri, anche
i valori e il tutto l’intero universo femminile, non escludendo nulla.